mercoledì 3 dicembre 2008

Chiara, un bambino di quasi sei anni e una bambina di sette

Io sono mamma di un maschio che sta facendo l’ultimo anno alla scuola materna e compirà sei anni a gennaio e di una femmina che ha sette anni e fa la seconda elementare frequentando il tempo pieno nella scuola di quartiere. La bambina è molto contenta della scuola e delle sue maestre: le piace molto leggere e scrivere, le piace l’idea di andare a scuola e per questo ha degli ottimi risultati.
Allora un primo motivo per cui io difendo il tempo pieno, avendolo sperimentato con mia figlia, è che funziona: c’è un’offerta formativa che soltanto il tempo pieno può dare.
Andando a scuola a tempo pieno, oltre all’apprendimento delle competenze di base, a mia figlia viene data la possibilità di avere un forte legame con il territorio in cui vive, di visitare musei e mostre, di fare laboratori didattici; solo pochi giorni fa la classe è stata al museo A COME AMBIENTE per un laboratorio di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata e sul riciclo dei materiali e dei rifiuti. Il tempo pieno permette ai bambini di acquisire competenze importanti; noi portiamo nostra figlia alle mostre e nei musei, ma la stessa esperienza fatta in un contesto diverso dalla famiglia, insieme ai compagni e con maestre che sanno come spiegare ai bambini, fa imparare in una maniera diversa, più efficace.
C’è poi un secondo livello, chiamiamolo logistico, per cui il tempo pieno è il minimo che la società può offrire ad una famiglia in cui entrambi i genitori lavorano. E’ evidente che un bambino che torna a casa alle 12 e 30 mette in crisi l’organizzazione familiare. Io vedo molte amiche che sono separate con figli, o che hanno un orario di lavoro per niente flessibile, o non hanno i nonni a disposizione, sulle quali un bambino a casa il pomeriggio grava in una maniera molto forte. Pensiamo che queste persone, anche senza tempo pieno, dovranno ovviamente continuare a lavorare, e i loro figli nelle ore in cui i genitori saranno al lavoro faranno cose che non sono affatto comparabili a quello che offre una scuola, una maestra, una persona formata per educare e far crescere i bambini.
E poi c’è un terzo livello, che dal mio punto di vista è il più importante e che ha a che fare con la mia storia personale e familiare.
Io sono nata nel ’65 e alle elementari ho avuto tempo breve e maestra unica. Sono stata sfortunata perché ho cambiato una maestra all’anno e quindi avuto cinque maestre uniche!
Andavo alla Tommaseo, che all’epoca era una scuola frequentata per l’80% da figli di immigrati dal sud Italia, dove era evidente il bisogno di cambiare qualche cosa nel sistema scolastico, perché quello che veniva offerto non bastava più: molti genitori lavorano entrambi, molti appartenevano a un ceto poco abbiente con poche disponibilità, la scuola offriva un doposcuola che però era un vero e proprio parcheggio. Io ricordo anche l’impegno e le lotte di mia mamma, anche lei maestra, maestra unica, per cambiare questo tipo di scuola che risultava inadeguata.
Per di più mio cugino, pur abitando in centro come me, era stato mandato dai genitori, molto impegnati, alla Nino Costa alle Vallette, la prima scuola dove a Torino si è sperimentato il tempo pieno. La cucina a scuola, le attività scolastiche il sabato e la domenica: perché le Vallette allora era un quartiere ghetto e la scuola aveva proprio un senso di coesione sociale molto forte. Il maestro di mio cugino era Fiorenzo Alfieri, uno tra i primi ad aver sperimentato il tempo pieno. Ricordo la mia invidia perché mio cugino tornava a casa alle cinque del pomeriggio raccontandomi le cose meravigliose che faceva a scuola e a cui ogni tanto, siccome molte cose venivano organizzate con le famiglie, partecipavo anch’io. Io che invece sperimentavo sulla mia pelle tutto un altro tipo di scuola.
Nel momento in cui come mamma mi sono trovata a scegliere la scuola per mia figlia non ho avuto dubbi che il tempo pieno fosse la scelta migliore. Come negli anni ’60, anche oggi ci troviamo a vivere un momento di forte immigrazione: l’integrazione riesce bene quando si fa capire già ai bambini che non ci sono differenze, facendoli vivere insieme. E’ importante che non si torni indietro di trent’anni, come si farebbe reintroducendo il maestro unico; come se si dicesse aboliamo il divorzio, un’altra di quelle battaglie che io ricordo aver visto fare ai miei genitori quando ero piccola e che mi sembrerebbe anacronistico rimettere in discussione oggi.
E’ vero che quando io mi trovo a discutere con le persone, molto spesso mi sento dire questa frase che mi fa andare in bestia: anch’io sono cresciuto con una maestra unica e non era poi così male. Come dire: sono cresciuto io cresceranno tutti, dimenticandosi del fatto che noi siamo cresciuti anche senza molte cose che i nostri figli oggi hanno: per esempio potendo giocare in cortile o potendo andare in giro da soli per Torino, come facevo io quando a dieci anni e mezzo prendevo un tram alle 7 del mattino per andare dall’altra parte della città alle medie. Ma adesso non è più così. E allora se il mondo è cambiato per certe cose, è cambiato anche per altro: se noi non possiamo fidarci a lasciare i nostri bambini a girare per Torino da soli a dieci anni perché riteniamo sia pericoloso, perché pensiamo invece con nostalgia al maestro unico che è una figura di altri tempi?
Per oppormi a questa riforma mi sono presa l’impegno di informare chi non è informato, perché ritengo che da parte di chi ha proposto questi cambiamenti il gioco sia stato molto sporco, che ci sia stata un’operazione mediatica per cercare di coprire gli aspetti negativi di questa riforma che avrebbero lasciato perplesso anche un elettore di destra: la campagna sul grembiulino e sul voto in condotta serve proprio a dare l’impressione di voler mettere ordine nella scuola, e chi potrebbe essere contrario al mettere ordine?
Oltretutto, per come sono state portate le cose, ritengo che si è giocato davvero sporco, perché fino al decreto dei primi di settembre non c’era stata alcuna notizia in proposito, quando in realtà le decisioni erano già state prese con i tagli finanziari di luglio.
La prima cosa che ho cercato di fare è stata allora quella di esaminare, da totale inesperta perché io non sono una giurista, i documenti scritti e confrontarli con quello che veniva detto; e nel momento in cui non c’era corrispondenza tra quello che veniva proclamato e quello che veniva scritto, mettere in luce queste discrepanze assieme alle persone. Perché è evidente che nel momento in cui si dice che il tempo pieno verrà mantenuto e anzi aumentato e si scrive però che la scuola elementare avrà un maestro unico a 24 ore settimanali è evidente che c’è qualcuno che non sta dicendo le cose chiare. Intorno a me adesso vedo una forte risposta, sempre più forte, da parte dei genitori e di gruppi di insegnanti, perché c’è sempre più gente che si è resa conto del fatto che ci sono delle cose che non tornano.
All’inizio, per la reazione che il sistema paese ha avuto, mi sono sentita molto sola: i giornali, a parte L’Unità, non ne parlavano né c‘era controinformazione da parte dell’opposizione. Soltanto dopo tutta una serie di manifestazioni i partiti e i sindacati hanno iniziato a svegliarsi, anche se ritengo in maniera assolutamente insufficiente rispetto a quello che sta succedendo. Continuo a vedere una scarsissima attenzione da parte di quella che io chiamo opposizione. Da un lato è sconfortante, perché avere un riferimento istituzionale forte vuol dire sentirsi più protetti di fronte alla confusione che si prova quando si cerca di decifrare una legge che rimanda a un articolo di un’altra legge che rimanda a un comma tal dei tali.
Ma dall’altro io credo che la forza di questo movimento sia proprio la sua trasversalità, il fatto che è un movimento nato perché ci si sente toccati in qualcosa in cui si crede indipendentemente dall’ideologia. E forse è anche vero che questo è servito perché il movimento venisse preso molto più sul serio di quanto non sarebbe stato se fosse stato appoggiato dai partiti: l’aver dimostrato che non abbiamo bisogno di nessun appoggio politico ci ha rafforzato e ci ha dato forza e credibilità.
Che altro vedo intorno a me?
In questo momento vedo un certo immobilismo, siamo come sospesi nel vuoto: ci sono stati dei momenti di accelerazione caotica quando a settembre si è iniziato a parlare del decreto legge, c’è stata tutta una serie di attenzioni nella speranza che il decreto legge non diventasse legge, e assieme a questo montare legislativo c’è stato anche un montare della protesta, fino alla grandissima manifestazione del 30 ottobre come io non ricordo si vedesse da molti anni, e a un certo punto è la legge è passata. Di lì c’è stata come una bolla di immobilismo, che percepisco anche quando parlo con le persone, che mi dicono e va bé la legge è passata.
Ma il fatto che la legge sia passata significa relativamente poco. Si può ancora agire moltissimo. Molti pensano che l’approvazione di una legge porti immediatamente alla sua attuazione, ma non è così: c’è ancora la possibilità, che dà speranza, di poter fare e agire.

testimonianza raccolta il 19-11-08

AS

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