Sono mamma di due bambini: una bambina di quasi tre anni che adesso va al nido e il prossimo anno comincerà la scuola materna e un bambino di cinque che l’anno prossimo andrà alle elementari.
Questa riforma mi colpisce doppiamente perché colpisce entrambi i miei figli.
Nella scuola materna comunale che sta frequentando mio figlio, oggi per una classe di venticinque bambini ci sono due insegnanti titolari, un’insegnante di sostegno e un’operatrice, che riesce a fare le veci delle maestre quando serve. Ricordo l’episodio recente di una bambina appena inserita all’asilo che un mattino si rifiutava di fare qualcosa che la mamma voleva da lei: è arrivata l’operatrice, ha proposto alla bimba la stessa cosa solo in un altro modo e lei lo ha fatto, semplicemente, mentre la mamma proprio non riusciva a convincerla.
Le due insegnanti della materna di mio figlio, anche per i loro stessi caratteri, ricoprono ruoli diversi: una ha un ruolo più affettivo, l’altra è meno materna ma non meno affettuosa, e questo è di grande stimolo per i bambini, che si confrontano con due approcci diversi. Le due maestre lavorano sia in alternanza che in compresenza, coprendo un tempo pieno che permette loro di dare continuità all’intervento con i bambini e di garantire una collegialità, sia nei confronti dei bimbi che dei genitori, che è fondamentale e che verrà a perdersi con questa riforma.
Mi chiedo cosa succederà quando mia figlia il prossimo anno andrà in questo asilo e magari avrà solo quattro ore di scuola al giorno. Mi spaventa che per la bambina non si possa ripetere l’esperienza che ha fatto il fratello.
C’è poi un problema di tipo organizzativo: io lavoro come libera professionista, sono separata e ho quindi una gestione familiare particolare e sono senza l’appoggio dei nonni perché non abitano a Torino.
Nel momento in cui viene a cadere il tempo pieno mi ritrovo a mezzogiorno con due bambini a casa da gestire. Sento un’incognita totale rispetto a quello che sarà il pomeriggio dei miei figli, anche se il governo continua a dirci che il tempo pieno ci sarà più di prima. Ma spiegatemi esattamente come si fa il tempo pieno se le maestre vanno a casa a mezzogiorno. Esattamente, come sarà il tempo pieno se a mezzogiorno finisce la scuola? Spiegatemi come sarà che avremo anzi più tempo pieno, perché io non l’ho visto scritto da nessuna parte. Io vedo solo scritto 24 ore. Non mi tornano i conti. Mi puoi dire che al pomeriggio ci sarà il parcheggio libero dei figli, ma questo non è il tempo pieno della scuola, è tutta un’altra cosa.
Una madre lavoratrice si sentirà veramente a posto? Le sembrerà che suo figlio stia facendo una buona esperienza o piuttosto si sentirà di parcheggiarlo e magari ci sarà pure chi ti dice, ma cosa fai, tuo figlio lo lasci a scuola, come se la scuola fosse un peccato mortale. Questa è una cosa che trovo allucinante.
Oltretutto mi fa star male lo spreco enorme di possibilità e di potenziale. Il tempo pieno permette le uscite sul territorio, che io trovo molto positive. Proprio qui a Torino, che è stata la prima capitale d’Italia, abbiamo una grande ricchezza a livello culturale, di musei, di luoghi storici, e io che non sono di qui apprezzo molto che i miei figli possano usufruire di tanta offerta culturale. Io i miei figli li porto comunque al museo, ma la scuola pubblica dovrebbe garantire a tutti questa esperienza, soprattutto a chi ha una famiglia che non lo fa per abitudine, per cultura, per disponibilità economica. Quello in cui io credo è una scuola pubblica che offra le stesse cose a tutti quanti, perché se inizi a negare le stesse opportunità a tutti fin da piccoli allora siamo a posto, poi non potranno che aumentare, le differenze.
Immagino poi che pian piano le eventuali attività pomeridiane che ci promettono diventeranno tutte a pagamento, perché già adesso la scuola non ha fondi e ne avrà ancora meno, sempre meno fondi e meno personale, e quindi si finirà per dare tutto in gestione a cooperative o non si sa bene chi e per cosa si dovrà pagare.
Allora ci sarà chi dirà, sai che cosa, io mio figlio lo tengo a casa, ci sono i nonni e può stare con loro, o c’è chi dirà mi arrangio con la baby-sitter, o chi dirà mi organizzo da sola e il pomeriggio lo porto a fare questo e a fare quello. Cosa significherà tutto questo? Che ci saranno delle differenze all’interno della classe di mio figlio il prossimo anno: il bambino che ha la mamma casalinga starà a casa con lei e chi invece ha la mamma che lavora resterà a scuola il pomeriggio. Sono convinta che nel momento in cui comincerà questo nuovo modo di fare scuola verrà fuori tutta la differenza tra chi può tenersi i figli a casa perché fa la casalinga o perché è disoccupata, come magari le mamme straniere che diranno, sai cosa, dato che c’è da pagare io mio figlio lo tengo a casa.
Io penso che togliere ai bambini di una stessa classe la possibilità di vivere un’esperienza comune, condivisa, servirà soltanto ad approfondire ancora di più, a sottolineare ancora di più, le differenze culturali, sociali, economiche. Ci saranno bimbi che andranno nella stessa scuola ma che, all’interno della stessa scuola, faranno cose molto diverse.
È proprio la questione delle differenze tra bambini che secondo me è tremenda. Perché questo significa impedire l’integrazione e ostacolare l’inclusione sociale: mi sembra che questo tipo di proposta cassi completamente l’intento di integrare, di includere, di insegnare a socializzare, a vivere insieme, fare un’esperienza comune.
E a proposito di integrazione, secondo me un’altra cosa è anche importante. Perché ci sia integrazione bisogna conoscersi: se tu non conosci, quello che non conosci arrivi a non rispettarlo o ad averne addirittura paura, mentre quello che conosci da vicino assume dimensioni reali e lo riconosci esattamente come te, impari a conviverci e anzi a costruirci insieme delle cose. Un esempio vicino, la Francia lo dimostra: ci sono le banlieu dove si ghettizzano gli stranieri e succedono i casini perché se li ghettizzi e se ti ghettizzi, ti isoli in una rocca, metti in moto quel meccanismo da cui non può che nascere l’odio; ma se cammini per le strade di Parigi vedi una società assolutamente mista e integrata e questo è quello che dovrà essere da noi e per i nostri figli tra vent’anni e secondo me è un arricchimento per i nostri figli se la scuola dà loro la possibilità di conoscere l’altro e imparare a conviverci.
Per questo io difendo una scuola pubblica che dia a tutti pari possibilità e per questo credo anche che togliendo il tempo pieno, automaticamente si discrimina. E ci parlano di meritocrazia. Allora, ragazzi miei, tutti a pari condizioni, perché solo all’interno di un sistema paritetico si può far valere la meritocrazia, nel senso che il più bravo viene fuori a parità di opportunità. Il concetto è: diamo a tutti le stesse opportunità di emergere. Quello che dico sempre io: è facile dire sono la più forte delle gazzelle se i leoni sono da un’altra parte. Tutti insieme nello stesso gruppo, confrontiamoci veramente e poi vediamo chi vale davvero.
Alla fine, tutti questi discorsi sulla qualità del maestro unico e di quanto spreco sia il tempo pieno sono delle prese in giro. La verità è che ai nostri governanti non interessa la scuola pubblica, loro i figli li mandano alla scuola privata, elitaria, quella dove magari li mettono in divisa, e intanto a noi riservano questo, perché per i nostri governanti noi cittadini siamo solo uno spreco, siamo quelli che consumano i loro soldi. Quella che loro prevedono per noi, per noi che non possiamo magari permettercelo, per noi che ci crediamo, per noi che per scelta non lo facciamo, è una sottoscuola. È questo il principio che veramente non va, proprio per niente.
La qualità del futuro dei nostri figli è una cosa che ci preoccupa tutti e per esprimere il nostro dissenso, con altri genitori abbiamo creato questo blog, a cui dedichiamo tanto tempo e tante energie. Il blog è il nostro modo per dire no, nato semplicemente perché ci siamo raccolti come gruppo di genitori che voleva darsi voce. Il blog ci serve per esprimerci, per esprimere quella voce che ha cominciato a levarsi il 4 ottobre.
Noi non siamo politicizzati, nasciamo come movimento traversale, non siamo aderenti a un partito o a un’organizzazione: semplicemente, con il blog, è come se facessimo i rappresentanti di classe per una fascia più ampia di popolazione. Il blog serve infatti anche a raccogliere intorno a noi quanti cercano un punto di riferimento.
La mancata informazione è diffusa; la gente che ci viene a visitare sul blog è tanta e ha bisogno di avere notizie diverse, che vanno dal testo del decreto, al capire cosa sta succedendo, al sapere quando c’è la prossima manifestazione, al sentirsi meno soli vedendo che altri genitori hanno le stesse preoccupazioni, e unirsi nell’indignazione per quello che ci continuano a dire, facendoci passare come quelli che non capiscono niente. Siamo rimasti stupiti del seguito che sta avendo il blog, eppure evidentemente sono tanti i genitori che come noi sono preoccupati, che come noi si indignano, che vogliono tenersi informati rispetto a quello che sta succedendo.
Al tempo stesso vedo anche intorno a me tanta disinformazione e indifferenza. Disinformazione e indifferenza. Le due cose, attenzione.
C’è il fastidio di chi pensa che non sarà poi così grave, perché basta che il ministro vada in televisione e dica ma no ci sarà il tempo pieno e tutti dicono se l’ha detto il ministro è vero.
Poi c’è una parte di genitori che pensa oh no bisogna occuparsi anche di questo ed è pure un po’ fatalista; ma forse è solo che non è abituata a prendersi in carico il proprio futuro, non ha l’abitudine a pensarci.
E poi vedo intorno a me una parte che ignora tranquillamente tutta la questione, fa una scelta del tutto diversa e manda i figli alle private e voilà, semplicemente salta a piè pari la questione perché le sue scelte le ha già orientate altrove.
Sinceramente, anche se io non avessi figli in età scolare, penso che quello che sta succedendo mi scandalizzerebbe molto comunque: che un intero sistema di istruzione pubblica, dalle materne alla ricerca post universitaria, venga sostanzialmente tagliato, dà l’idea del su che cosa un paese investe o non investe. E a me questa storia dell’essenzializzazione, per parlare come loro, non convince per niente: perché se tu vuoi essenzializzare nel senso di rendere più produttiva la scuola pubblica non fai dei tagli così, fai un altro tipo di intervento, consideri i programmi, fai dei confronti a livello internazionale e magari non tocchi le elementari che sono l’unico ciclo che funziona, ma lo fai sulle medie e le superiori… non mi sarei arrabbiata così tanto se la riforma fosse andata ad incidere su ciò che andava davvero riformato, su cui c’era effettivamente bisogno di mettere mano, di aggiustare il tiro. Ma andare ad incidere proprio là dove non ce n’era bisogna mi sembra molto irragionevole.
Ci continuano a rimproverare che noi siamo contro i tagli punto e basta. Non è così: se non toccate la qualità dell’istruzione potete anche tagliare. Sono d’accordo che c’è bisogno di una riforma del sistema dell’istruzione, questo è evidente, compreso il fatto che occorre rivedere l’attuale sistema dei concorsi in Italia. Però attenzione, facciamolo con criterio, non che questo significhi che l’istruzione diventa elitaria, per pochi: l’istruzione deve essere pubblica, per tutti, come la sanità, io ne sono profondamente, ideologicamente convinta.
Adesso, anche se la legge è stata approvata non bisogna assolutamente credere che sia cosa fatta. A cosa serve manifestare, senti dire. Innanzitutto, se nessuno manifesta vuol dire che tutti sono d’accordo, chi tace acconsente. Invece io se non sono d’accordo voglio dirlo: come cittadina ho diritto a manifestare il mio dissenso, in maniera pacifica, non violenta, legale. Non bisogna assolutamente darsi per vinti. Aspettiamo i regolamenti a seguito del piano programmatico e vediamo anche cosa succederà se una fascia della popolazione continua a manifestare il suo dissenso in maniera così massiccia.
Io non mi arrendo, ma non mi sento ascoltata. Non mi sembra che ci sia stato nessun tipo di opposizione concreta alla riforma o se c’è stata è stata assolutamente insufficiente; non c’è stata nessuna presa in carico della nostra protesta e a livello di rappresentanza politica mi sento totalmente sola, tanto è vero che i blog e le altre varie iniziative servono proprio a continuare a dire no e a non sentirci soli. Sento però che a livello di società civile, di persone, nel nostro piccolo, la nostra mobilitazione dà la misura della voce che possiamo avere e che vogliamo avere. Ed è su questo che dobbiamo continuare a insistere.
Non siamo tutti degli scriteriati che vogliono che i bambini imparino a fare i rivoluzionari, però sono contenta di averli portati in piazza con me nel momento in cui c’era bisogno di farsi sentire, sono contenta di aver dato loro questa lezione di democrazia. Devo ringraziare il governo per avermi dato questa opportunità? Non penso proprio.
Anzi, penso che uno stato che non tutela i suoi cittadini, che sega le gambe al suo stesso futuro, non sia uno stato in cui meriti di vivere e crescere.
testimonianza raccolta il 14-11-08
AS
Questa riforma mi colpisce doppiamente perché colpisce entrambi i miei figli.
Nella scuola materna comunale che sta frequentando mio figlio, oggi per una classe di venticinque bambini ci sono due insegnanti titolari, un’insegnante di sostegno e un’operatrice, che riesce a fare le veci delle maestre quando serve. Ricordo l’episodio recente di una bambina appena inserita all’asilo che un mattino si rifiutava di fare qualcosa che la mamma voleva da lei: è arrivata l’operatrice, ha proposto alla bimba la stessa cosa solo in un altro modo e lei lo ha fatto, semplicemente, mentre la mamma proprio non riusciva a convincerla.
Le due insegnanti della materna di mio figlio, anche per i loro stessi caratteri, ricoprono ruoli diversi: una ha un ruolo più affettivo, l’altra è meno materna ma non meno affettuosa, e questo è di grande stimolo per i bambini, che si confrontano con due approcci diversi. Le due maestre lavorano sia in alternanza che in compresenza, coprendo un tempo pieno che permette loro di dare continuità all’intervento con i bambini e di garantire una collegialità, sia nei confronti dei bimbi che dei genitori, che è fondamentale e che verrà a perdersi con questa riforma.
Mi chiedo cosa succederà quando mia figlia il prossimo anno andrà in questo asilo e magari avrà solo quattro ore di scuola al giorno. Mi spaventa che per la bambina non si possa ripetere l’esperienza che ha fatto il fratello.
C’è poi un problema di tipo organizzativo: io lavoro come libera professionista, sono separata e ho quindi una gestione familiare particolare e sono senza l’appoggio dei nonni perché non abitano a Torino.
Nel momento in cui viene a cadere il tempo pieno mi ritrovo a mezzogiorno con due bambini a casa da gestire. Sento un’incognita totale rispetto a quello che sarà il pomeriggio dei miei figli, anche se il governo continua a dirci che il tempo pieno ci sarà più di prima. Ma spiegatemi esattamente come si fa il tempo pieno se le maestre vanno a casa a mezzogiorno. Esattamente, come sarà il tempo pieno se a mezzogiorno finisce la scuola? Spiegatemi come sarà che avremo anzi più tempo pieno, perché io non l’ho visto scritto da nessuna parte. Io vedo solo scritto 24 ore. Non mi tornano i conti. Mi puoi dire che al pomeriggio ci sarà il parcheggio libero dei figli, ma questo non è il tempo pieno della scuola, è tutta un’altra cosa.
Una madre lavoratrice si sentirà veramente a posto? Le sembrerà che suo figlio stia facendo una buona esperienza o piuttosto si sentirà di parcheggiarlo e magari ci sarà pure chi ti dice, ma cosa fai, tuo figlio lo lasci a scuola, come se la scuola fosse un peccato mortale. Questa è una cosa che trovo allucinante.
Oltretutto mi fa star male lo spreco enorme di possibilità e di potenziale. Il tempo pieno permette le uscite sul territorio, che io trovo molto positive. Proprio qui a Torino, che è stata la prima capitale d’Italia, abbiamo una grande ricchezza a livello culturale, di musei, di luoghi storici, e io che non sono di qui apprezzo molto che i miei figli possano usufruire di tanta offerta culturale. Io i miei figli li porto comunque al museo, ma la scuola pubblica dovrebbe garantire a tutti questa esperienza, soprattutto a chi ha una famiglia che non lo fa per abitudine, per cultura, per disponibilità economica. Quello in cui io credo è una scuola pubblica che offra le stesse cose a tutti quanti, perché se inizi a negare le stesse opportunità a tutti fin da piccoli allora siamo a posto, poi non potranno che aumentare, le differenze.
Immagino poi che pian piano le eventuali attività pomeridiane che ci promettono diventeranno tutte a pagamento, perché già adesso la scuola non ha fondi e ne avrà ancora meno, sempre meno fondi e meno personale, e quindi si finirà per dare tutto in gestione a cooperative o non si sa bene chi e per cosa si dovrà pagare.
Allora ci sarà chi dirà, sai che cosa, io mio figlio lo tengo a casa, ci sono i nonni e può stare con loro, o c’è chi dirà mi arrangio con la baby-sitter, o chi dirà mi organizzo da sola e il pomeriggio lo porto a fare questo e a fare quello. Cosa significherà tutto questo? Che ci saranno delle differenze all’interno della classe di mio figlio il prossimo anno: il bambino che ha la mamma casalinga starà a casa con lei e chi invece ha la mamma che lavora resterà a scuola il pomeriggio. Sono convinta che nel momento in cui comincerà questo nuovo modo di fare scuola verrà fuori tutta la differenza tra chi può tenersi i figli a casa perché fa la casalinga o perché è disoccupata, come magari le mamme straniere che diranno, sai cosa, dato che c’è da pagare io mio figlio lo tengo a casa.
Io penso che togliere ai bambini di una stessa classe la possibilità di vivere un’esperienza comune, condivisa, servirà soltanto ad approfondire ancora di più, a sottolineare ancora di più, le differenze culturali, sociali, economiche. Ci saranno bimbi che andranno nella stessa scuola ma che, all’interno della stessa scuola, faranno cose molto diverse.
È proprio la questione delle differenze tra bambini che secondo me è tremenda. Perché questo significa impedire l’integrazione e ostacolare l’inclusione sociale: mi sembra che questo tipo di proposta cassi completamente l’intento di integrare, di includere, di insegnare a socializzare, a vivere insieme, fare un’esperienza comune.
E a proposito di integrazione, secondo me un’altra cosa è anche importante. Perché ci sia integrazione bisogna conoscersi: se tu non conosci, quello che non conosci arrivi a non rispettarlo o ad averne addirittura paura, mentre quello che conosci da vicino assume dimensioni reali e lo riconosci esattamente come te, impari a conviverci e anzi a costruirci insieme delle cose. Un esempio vicino, la Francia lo dimostra: ci sono le banlieu dove si ghettizzano gli stranieri e succedono i casini perché se li ghettizzi e se ti ghettizzi, ti isoli in una rocca, metti in moto quel meccanismo da cui non può che nascere l’odio; ma se cammini per le strade di Parigi vedi una società assolutamente mista e integrata e questo è quello che dovrà essere da noi e per i nostri figli tra vent’anni e secondo me è un arricchimento per i nostri figli se la scuola dà loro la possibilità di conoscere l’altro e imparare a conviverci.
Per questo io difendo una scuola pubblica che dia a tutti pari possibilità e per questo credo anche che togliendo il tempo pieno, automaticamente si discrimina. E ci parlano di meritocrazia. Allora, ragazzi miei, tutti a pari condizioni, perché solo all’interno di un sistema paritetico si può far valere la meritocrazia, nel senso che il più bravo viene fuori a parità di opportunità. Il concetto è: diamo a tutti le stesse opportunità di emergere. Quello che dico sempre io: è facile dire sono la più forte delle gazzelle se i leoni sono da un’altra parte. Tutti insieme nello stesso gruppo, confrontiamoci veramente e poi vediamo chi vale davvero.
Alla fine, tutti questi discorsi sulla qualità del maestro unico e di quanto spreco sia il tempo pieno sono delle prese in giro. La verità è che ai nostri governanti non interessa la scuola pubblica, loro i figli li mandano alla scuola privata, elitaria, quella dove magari li mettono in divisa, e intanto a noi riservano questo, perché per i nostri governanti noi cittadini siamo solo uno spreco, siamo quelli che consumano i loro soldi. Quella che loro prevedono per noi, per noi che non possiamo magari permettercelo, per noi che ci crediamo, per noi che per scelta non lo facciamo, è una sottoscuola. È questo il principio che veramente non va, proprio per niente.
La qualità del futuro dei nostri figli è una cosa che ci preoccupa tutti e per esprimere il nostro dissenso, con altri genitori abbiamo creato questo blog, a cui dedichiamo tanto tempo e tante energie. Il blog è il nostro modo per dire no, nato semplicemente perché ci siamo raccolti come gruppo di genitori che voleva darsi voce. Il blog ci serve per esprimerci, per esprimere quella voce che ha cominciato a levarsi il 4 ottobre.
Noi non siamo politicizzati, nasciamo come movimento traversale, non siamo aderenti a un partito o a un’organizzazione: semplicemente, con il blog, è come se facessimo i rappresentanti di classe per una fascia più ampia di popolazione. Il blog serve infatti anche a raccogliere intorno a noi quanti cercano un punto di riferimento.
La mancata informazione è diffusa; la gente che ci viene a visitare sul blog è tanta e ha bisogno di avere notizie diverse, che vanno dal testo del decreto, al capire cosa sta succedendo, al sapere quando c’è la prossima manifestazione, al sentirsi meno soli vedendo che altri genitori hanno le stesse preoccupazioni, e unirsi nell’indignazione per quello che ci continuano a dire, facendoci passare come quelli che non capiscono niente. Siamo rimasti stupiti del seguito che sta avendo il blog, eppure evidentemente sono tanti i genitori che come noi sono preoccupati, che come noi si indignano, che vogliono tenersi informati rispetto a quello che sta succedendo.
Al tempo stesso vedo anche intorno a me tanta disinformazione e indifferenza. Disinformazione e indifferenza. Le due cose, attenzione.
C’è il fastidio di chi pensa che non sarà poi così grave, perché basta che il ministro vada in televisione e dica ma no ci sarà il tempo pieno e tutti dicono se l’ha detto il ministro è vero.
Poi c’è una parte di genitori che pensa oh no bisogna occuparsi anche di questo ed è pure un po’ fatalista; ma forse è solo che non è abituata a prendersi in carico il proprio futuro, non ha l’abitudine a pensarci.
E poi vedo intorno a me una parte che ignora tranquillamente tutta la questione, fa una scelta del tutto diversa e manda i figli alle private e voilà, semplicemente salta a piè pari la questione perché le sue scelte le ha già orientate altrove.
Sinceramente, anche se io non avessi figli in età scolare, penso che quello che sta succedendo mi scandalizzerebbe molto comunque: che un intero sistema di istruzione pubblica, dalle materne alla ricerca post universitaria, venga sostanzialmente tagliato, dà l’idea del su che cosa un paese investe o non investe. E a me questa storia dell’essenzializzazione, per parlare come loro, non convince per niente: perché se tu vuoi essenzializzare nel senso di rendere più produttiva la scuola pubblica non fai dei tagli così, fai un altro tipo di intervento, consideri i programmi, fai dei confronti a livello internazionale e magari non tocchi le elementari che sono l’unico ciclo che funziona, ma lo fai sulle medie e le superiori… non mi sarei arrabbiata così tanto se la riforma fosse andata ad incidere su ciò che andava davvero riformato, su cui c’era effettivamente bisogno di mettere mano, di aggiustare il tiro. Ma andare ad incidere proprio là dove non ce n’era bisogna mi sembra molto irragionevole.
Ci continuano a rimproverare che noi siamo contro i tagli punto e basta. Non è così: se non toccate la qualità dell’istruzione potete anche tagliare. Sono d’accordo che c’è bisogno di una riforma del sistema dell’istruzione, questo è evidente, compreso il fatto che occorre rivedere l’attuale sistema dei concorsi in Italia. Però attenzione, facciamolo con criterio, non che questo significhi che l’istruzione diventa elitaria, per pochi: l’istruzione deve essere pubblica, per tutti, come la sanità, io ne sono profondamente, ideologicamente convinta.
Adesso, anche se la legge è stata approvata non bisogna assolutamente credere che sia cosa fatta. A cosa serve manifestare, senti dire. Innanzitutto, se nessuno manifesta vuol dire che tutti sono d’accordo, chi tace acconsente. Invece io se non sono d’accordo voglio dirlo: come cittadina ho diritto a manifestare il mio dissenso, in maniera pacifica, non violenta, legale. Non bisogna assolutamente darsi per vinti. Aspettiamo i regolamenti a seguito del piano programmatico e vediamo anche cosa succederà se una fascia della popolazione continua a manifestare il suo dissenso in maniera così massiccia.
Io non mi arrendo, ma non mi sento ascoltata. Non mi sembra che ci sia stato nessun tipo di opposizione concreta alla riforma o se c’è stata è stata assolutamente insufficiente; non c’è stata nessuna presa in carico della nostra protesta e a livello di rappresentanza politica mi sento totalmente sola, tanto è vero che i blog e le altre varie iniziative servono proprio a continuare a dire no e a non sentirci soli. Sento però che a livello di società civile, di persone, nel nostro piccolo, la nostra mobilitazione dà la misura della voce che possiamo avere e che vogliamo avere. Ed è su questo che dobbiamo continuare a insistere.
Non siamo tutti degli scriteriati che vogliono che i bambini imparino a fare i rivoluzionari, però sono contenta di averli portati in piazza con me nel momento in cui c’era bisogno di farsi sentire, sono contenta di aver dato loro questa lezione di democrazia. Devo ringraziare il governo per avermi dato questa opportunità? Non penso proprio.
Anzi, penso che uno stato che non tutela i suoi cittadini, che sega le gambe al suo stesso futuro, non sia uno stato in cui meriti di vivere e crescere.
testimonianza raccolta il 14-11-08
AS
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