Il primo embrione di tempo pieno, sorretto dal Comune, nasce dunque a Torino.
In contemporanea l’allora ministra democristiana alla Pubblica Istruzione, Falcucci, attenta ai fermenti sociali e del mondo della scuola per i motivi elencati nella puntata precedente, invia suoi ispettori in cinque scuole di Torino e a Trento affinché nasca una sperimentazione tutta statale di questo nuovo modello. E’ il 1970.
Perché si scelse Torino e Trento? Immagino perché il movimento degli studenti e l’occupazione dell’università di Trento e l’occupazione di Palazzo Campana a Torino del ’67, tre anni prima, aveva reso le due città terreno fertile sul quale far attecchire iniziative sperimentali.
Per questa sperimentazione la ministra Falcucci coinvolge Francesco de Bartolomeis, il grande pedagogista torinese tuttora vivente.
Francesco de Bartolmeis, comunista, viene incaricato da una democristiana. Non si può non apprezzare la laicità della scelta della ministra.
Francesco de Bartolomeis in quegli anni era il deus ex machina della formazione degli insegnanti all’università di Torino; li formava sì nelle aule di Palazzo Nuovo, ma li formava soprattutto in un laboratorio che aveva fatto nascere in via Maria Vittoria, dove gli studenti universitari futuri maestri mettevano concretamente mano al mestiere: dalla pittura alla manipolazione della creta, alla lavorazione del legno, alle prime strumentazioni tecnologiche grazie anche al coinvolgimento dell’ assistente di de Bartolomeis, Pietro Simondo. Quel laboratorio di via Maria Vittoria fu fucina di molti insegnanti che poi si ritrovarono a lavorare al tempo pieno negli anni successivi.
Quindi, a Torino il tempo pieno statale parte in cinque scuole: ovviamente la Nino Costa alle Vallette, l’Ungaretti di corso Taranto dove io lavoravo, la Casati in corso Racconigi dove c’era come direttore didattico Gianni Dolino (di cui torneremo a parlare nelle prossime puntate), la Pestalozzi in piena Barriera di Milano.
Chi viene iscritto alle prime classi a tempo pieno? Si prende dall’elenco di coloro che erano iscritti ai doposcuola comunali.
I doposcuola comunali erano della formule per tenere a scuola anche al pomeriggio gli alunni più bisognosi sotto diversi profili, i quali venivano assistiti da personale comunale e inseriti in gruppi che accoglievano classi diverse: si trattava di un intervento slegato da fatti didattici che andava incontro principalmente a necessità socio-economiche.
Il modello di tempo pieno voluto dalla ministra Falcucci prevede invece due insegnanti statali che si organizzano nell’arco della settimana per garantire 40 ore di insegnamento. Si rafforzano così quelle forme di collaborazione che alla Nino Costa erano state la molla del rinnovamento didattico. Chi ha più competenze in un’area non insegna solo nella sua classe ma anche ad allievi di altre classi. Le compresenze tra insegnanti permettono di moltiplicare i gruppi di studio e i laboratori, consentono uscite didattiche in sicurezza, rendono più produttiva la giornata scolastica, diventando l’elemento più prezioso di tutta l’esperienza.
Dal momento che gli esiti della sperimentazione del tempo pieno sono giudicati da subito molto positivi, il governo emana la Legge 24 settembre 1971, n. 820 (Norme sull'ordinamento della scuola elementare e sulla immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola materna statale), che estende l’applicazione del tempo pieno a tutto il territorio nazionale.
La nuova legge mette le scuole nella condizione di poter scegliere di adottare o meno il tempo pieno; inoltre, mantiene la caratteristica propria della prima sperimentazione, ovvero la possibilità che il maestro titolare della classe si scelga l’insegnante partner, chiamandolo anche da altre scuole se all’interno della propria realtà scolastica non ve ne sono di disponibili, in modo tale da poter garantire 40 ore settimanali di insegnamento condiviso sotto il profilo educativo, culturale e didattico.
In contemporanea l’allora ministra democristiana alla Pubblica Istruzione, Falcucci, attenta ai fermenti sociali e del mondo della scuola per i motivi elencati nella puntata precedente, invia suoi ispettori in cinque scuole di Torino e a Trento affinché nasca una sperimentazione tutta statale di questo nuovo modello. E’ il 1970.
Perché si scelse Torino e Trento? Immagino perché il movimento degli studenti e l’occupazione dell’università di Trento e l’occupazione di Palazzo Campana a Torino del ’67, tre anni prima, aveva reso le due città terreno fertile sul quale far attecchire iniziative sperimentali.
Per questa sperimentazione la ministra Falcucci coinvolge Francesco de Bartolomeis, il grande pedagogista torinese tuttora vivente.
Francesco de Bartolmeis, comunista, viene incaricato da una democristiana. Non si può non apprezzare la laicità della scelta della ministra.
Francesco de Bartolomeis in quegli anni era il deus ex machina della formazione degli insegnanti all’università di Torino; li formava sì nelle aule di Palazzo Nuovo, ma li formava soprattutto in un laboratorio che aveva fatto nascere in via Maria Vittoria, dove gli studenti universitari futuri maestri mettevano concretamente mano al mestiere: dalla pittura alla manipolazione della creta, alla lavorazione del legno, alle prime strumentazioni tecnologiche grazie anche al coinvolgimento dell’ assistente di de Bartolomeis, Pietro Simondo. Quel laboratorio di via Maria Vittoria fu fucina di molti insegnanti che poi si ritrovarono a lavorare al tempo pieno negli anni successivi.
Quindi, a Torino il tempo pieno statale parte in cinque scuole: ovviamente la Nino Costa alle Vallette, l’Ungaretti di corso Taranto dove io lavoravo, la Casati in corso Racconigi dove c’era come direttore didattico Gianni Dolino (di cui torneremo a parlare nelle prossime puntate), la Pestalozzi in piena Barriera di Milano.
Chi viene iscritto alle prime classi a tempo pieno? Si prende dall’elenco di coloro che erano iscritti ai doposcuola comunali.
I doposcuola comunali erano della formule per tenere a scuola anche al pomeriggio gli alunni più bisognosi sotto diversi profili, i quali venivano assistiti da personale comunale e inseriti in gruppi che accoglievano classi diverse: si trattava di un intervento slegato da fatti didattici che andava incontro principalmente a necessità socio-economiche.
Il modello di tempo pieno voluto dalla ministra Falcucci prevede invece due insegnanti statali che si organizzano nell’arco della settimana per garantire 40 ore di insegnamento. Si rafforzano così quelle forme di collaborazione che alla Nino Costa erano state la molla del rinnovamento didattico. Chi ha più competenze in un’area non insegna solo nella sua classe ma anche ad allievi di altre classi. Le compresenze tra insegnanti permettono di moltiplicare i gruppi di studio e i laboratori, consentono uscite didattiche in sicurezza, rendono più produttiva la giornata scolastica, diventando l’elemento più prezioso di tutta l’esperienza.
Dal momento che gli esiti della sperimentazione del tempo pieno sono giudicati da subito molto positivi, il governo emana la Legge 24 settembre 1971, n. 820 (Norme sull'ordinamento della scuola elementare e sulla immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola materna statale), che estende l’applicazione del tempo pieno a tutto il territorio nazionale.
La nuova legge mette le scuole nella condizione di poter scegliere di adottare o meno il tempo pieno; inoltre, mantiene la caratteristica propria della prima sperimentazione, ovvero la possibilità che il maestro titolare della classe si scelga l’insegnante partner, chiamandolo anche da altre scuole se all’interno della propria realtà scolastica non ve ne sono di disponibili, in modo tale da poter garantire 40 ore settimanali di insegnamento condiviso sotto il profilo educativo, culturale e didattico.
AS